Tra il ricordo di chi c’era in qui momenti terribili ma densi di significato perché veniva riconsegnata la libertà a San Benedetto del Tronto e la lettura di brani in cui si narra lo spirito di solidarietà con cui i Padri Sacramentini aiutarono i sambenedettesi durante la seconda guerra mondiale, è stato celebrato ieri, mercoledì 18 giugno, a Palazzo Piacentini, il 70esimo anniversario della liberazione della città.
“Questa cerimonia non è un mero rito – ha dichiarato nel suo saluto il Sindaco Giovanni Gaspari – bensì un modo per tenere accesa la fiamma del ricordo di quei fatti costati tanto in termini di vite e sacrifici, per dire grazie a chi ha contribuito a riportare la democrazia in città come l’esercito polacco, a chi ha aiutato i sambenedettesi quando erano sfollati nelle vicine Acquaviva e Monteprandone, ai Padri Sacramentini che furono i custodi della città. Tutto questo per capire chi siamo e la qualità della odierna convivenza. In questo sta il nesso tra il ricordo e l’attualità – ha concluso il Sindaco – con il benvenuto che dedichiamo ai nuovi cittadini, agli immigrati che accogliamo a San Benedetto. Queste energie nuove rappresentano una ricchezza straordinaria in termini di novità culturale e conoscenza tra popoli di diverse etnie e culture”.
Lo storico Gabriele Cavezzi, citando i principali cultori della storia della guerra, Ugo Marinangeli, Alberto Perozzi ed Otello Bizzarri, ha narrato alcuni episodi accaduti a San Benedetto partendo dall’8 settembre 1943, passando per i bombardamenti del Paese alto del novembre dello stesso anno per giungere alle ore della liberazione della città avvenuta tra il 18 e il 19 giugno 1944 che Cavezzi ha descritto anche con l’ausilio di fotografie che documentano l’ingresso delle truppe polacche in città recuperate negli archivi storici alleati di Londra.
In particolare Cavezzi, che ha vissuto personalmente quei giorni, si è soffermato sul periodo dello sfollamento della popolazione sambenedettese sulle colline di Acquaviva e Monteprandone. “I continui attacchi, provenienti dal mare, ai ponti ferroviari - ha spiegato Cavezzi – costrinsero la popolazione a sfollare verso le colline da dove, il 27 novembre del 1943, assistemmo al più cruento bombardamento della città, quello del Paese Alto. Però spesso i maggiori danni non vennero dai bombardamenti ma dai guastatori tedeschi che dovevano ostacolare l'arrivo delle truppe alleate distruggendo qualsiasi cosa incontrassero, dalle case ai ponti”.
Nel ricordo dei Sacramentini, padre Silvano Nicoli e padre Giuseppe Crocetti (quest’ultimo, giovane seminarista, testimone diretto di diversi episodi) hanno raccontato dell’impegno della comunità di religiosi nell’aiutare la popolazione: dal disseppellimento dei morti al recupero dei feriti, dall’assistenza in ospedale alla conservazione di mobili, oggetti e suppellettili. In particolare, hanno ricordato la tenacia con cui un loro confratello, fra’ Zaccaria, per evitare le razzie dei soldati tedeschi, girava in città caricando su un mezzo a tre ruote gli oggetti lasciati incustoditi nelle case abbandonate, catalogandoli e conservandoli in un locale vicino alla chiesa.
E il profondo legame tra i padri Sacramentini e la città è stato testimoniato da alcuni passi di documenti ufficiali di quel periodo, conservati presso l'Archivio storico del Comune e letti da Lorenzo Nico e Giancarlo Brandimarti dell’associazione teatrale “Ribalta picena”.
Molto toccante la testimonianza diretta di Wladyslaw Welke, militare polacco durante la Seconda Guerra Mondiale, da allora cittadino sambenedettese a pieno titolo, che ha ricordato l’ingresso dell’esercito polacco a San Benedetto, la risalita dell’esercito fino alla linea gotica e soprattutto l’incontro con una giovane fanciulla del posto che ospitò nella sua casa lui e i suoi commilitoni e che poi, alla fine della guerra, sarebbe diventata sua moglie.
La storia di Welke ha rappresentato il punto di giunzione tra la prima e la seconda parte della cerimonia, quella in cui l’Amministrazione comunale, consegnando una copia della Costituzione agli immigrati residenti che hanno ottenuto la cittadinanza italiana nell’ultimo anni, ha voluto dare loro il benvenuto in qualità di nuovi cittadini. E’ intervenuta anche Monica Vallorani, presidente della cooperativa sociale “Il Mondo”, una delle realtà cooperativistiche più impegnate nella mediazione culturale e linguistica del nostro territorio, per un’analisi della presenza straniera e dello stato dell’integrazione degli immigrati nella città.
“A San Benedetto sono circa 3.000 le persone straniere residenti provenienti da 80 Paesi diversi – ha spiegato Vallorani - 500 sono minori, sia nati qui sia nati altrove, 1.200 i nuclei con un capofamiglia straniero. Di queste 3000 persone, circa 1.900 sono donne e 1.200 uomini. Nell'ultimo anno a San Benedetto del Tronto sono state 92 le persone che hanno richiesto ed ottenuto la cittadinanza, uno status che permette di acquisire diritti e doveri ma che soprattutto fa sentire queste persone parte integrante di una comunità che, a sua volta, trae beneficio da una contaminazione che non vuol essere e non deve diventare omologazione”.