"L'eterno ed alterno mare" e le opere senza tempo dei pescatori piceni e delle loro donne offrono spunti ad Adolfo De Carolis (Montefiore dell'Aso 1874 - Roma 1928), intorno al cambio di secolo, per foto, disegni, incisioni, quadri e dipinti murali, articoli e prose liriche.
Dopo l'adesione nel '96 al gruppo romano In arte libertas, creato dal paesista Nino Costa, dal 1901 insegna ornato in accademia nella Firenze dei maestri del Rinascimento, del "terribile" Michelangelo, del Böcklin dell'Isola dei morti. Comincia ad ornare libri per D'Annunzio e Pascoli e dal 1903 elabora fregi e d articoli per la rivista "Leonardo" fondata con Papini e Prezzolini.
Fra le rigogliose figurazioni per la Francesca da Rimini (1902), le rusticane de La figlia di Iorio (1904), le lapidarie del Notturno del "Vate" (1917-21), le stampe marinaresche esprimono un'autonoma poetica. Il varo, L'argano, Il timone, La foce, Le arche - xilografie eseguite fra il 1904 e il 1908, mentre in Europa esplodono primi fenomeni d'avanguardia - denotano un lirismo contemplativo invischiato nel ristagno simbolista che connota la situazione italiana all'avvio del secolo. Ma al di là dei convenzionali significati latenti, quelli manifesti aprono - pur aderendo al fervore estetico del giapponismo fin-de-siècle - un discorso etnografico che si fa via via più urgente, teso a documentare l'irripetibile patrimonio che la "novella civiltà livellatrice" viene annientando. L'appello del 1920 (L'arte popolare, in "La Fionda", Roma) riscuote entusiastiche risposte, stimolando una sensibilità che nel 1923 porta all'istituzione del Regio Museo di etnografia italiana, dal 1956 Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni popolari.
L'ideale equazione ottocentesca fra impegno artistico e sociale trova nel "lido" della San Benedetto decarosiliana un equivalente a portata di mano della Tahiti di Gauguin: laboratorio di antropologia culturale da cui, nonostante il progresso, emerge chiara, dal profondo "la voce delle cose".
Cristiano Marchegiani