Si tratta di un gradito ritorno, visto che il giornalista era già stato a San Benedetto la scorsa estate. E sarà anche l'occasione per gettare uno sguardo sugli scenari internazionali di guerra, attraverso il racconto di un testimone che "c'era" ed ha visto le cose di cui parla. Così l'autore stesso sintetizza il contenuto del suo libro: "Incontrammo Amira alla fine del giro degli avvoltoi, quello che noi inviati facciamo quando, a corto di notizie, dobbiamo comunque mettere in piedi un servizio. Indossava un abitino azzurro con disegni piccoli. Sembrava sorridesse ma era immobile, fredda e grigia come il letto di metallo su cui era stesa, nella morgue dell'ospedale. Il cecchino l'aveva colpita appena era uscita dal cortile a raccogliere la sua palla, sotto gli occhi inorriditi degli amichetti".
Si trattava di un servizio televisivo realizzato a Sarajevo nell'ormai lontano 1992. Ed è solo il primo dei tanti ricordi di inviato nelle zone calde del pianeta, dall'Iraq al Kosovo, dal Libano al Ruanda, dall'Algeria all'Afghanistan, passando per la Somalia e il Mozambico. Sono storie commoventi come quella del mangiafuoco di Kabul che allieta i bambini dell'orfanotrofio, scenari terrificanti, per esempio, una valle dell'Eritrea disseminata di cadaveri. Episodi sconvolgenti, una donna croata scopre che il marito la tradisce nel peggiore dei modi, passando dalla parte dei carnefici, o flash surreali quanto può esserlo solo quello su una miss, incoronata regina di bellezza in una Sarajevo ridotta in macerie. Sorgono spontanei inquietanti interrogativi: che cosa spinge l'uomo a comportamenti disumani? C'è un senso, qualsiasi senso, nelle carneficine che negli ultimi vent'anni hanno coinvolto tanti innocenti? E può sopravvivere la vita dentro la guerra?
"Il cecchino e la bambina"