«Il "Giorno del ricordo" contro la logica della pulizia etnica»

La ricorrenza celebrata a San Benedetto con una lezione del prof. Valerio Marchetti

- 10 febbraio 2010
 
 

Come in tutta Italia, il "Giorno del ricordo" è stato celebrato anche al Comune di San Benedetto. Nella mattinata di mercoledì 10 febbraio si è infatti svolta una iniziativa all'auditorium "Tebaldini" incentrata sulla lezione tenuta dal prof. Valerio Marchetti, docente all'Università di Bologna, cui hanno assistito le autorità e alcune classi del Liceo Classico e dell'Istituto Alberghiero. In apertura di mattinata hanno portato il loro saluto il sindaco Gaspari e il presidente della Provincia di Ascoli Celani. Il prefetto Pasquale Minunni e il vescovo Gestori hanno inviato un messaggio di apprezzamento per l'approfondimento offerto agli studenti. Il "Giorno del ricordo" è stato infatti istituito con la legge n. 92 del 30 marzo 2004 "in memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati". E per i suoi significati storici l'Amministrazione comunale celebra ogni anno questa ricorrenza invitando un docente specialista del tema.

 

«Durante ricorrenze come il "Giorno del ricordo" dobbiamo riflettere su ciò che le grandi tragedie ci hanno tolto, in termini di ricchezza sociale e culturale», ha affermato il sindaco Gaspari, «Quelle vicende dolorose e tristissime non possono essere valutate prendendo posizione come se dovessimo far parte di tifoserie. L'umiliazione e l'offesa della dignità delle persone non ha colore politico. La storia va approfondita senza prese di posizione aprioristiche. Autori come Singer, Roth o Tomizza, "scrittori di confine", ci possono aiutare in questo percorso di conoscenza».

 

«La Provincia partecipa attivamente alla celebrazione di tutte le ricorrenze», ha affermato da parte sua Celani, «E la scuola rappresenta il luogo più indicato in assoluto per riflettere e approfondire questi temi. La memoria rappresenti un sottile filo conduttore attraverso le generazioni. Non dimentichiamo il caso del campo di Servigliano, che servì sia come campo di concentramento che come luogo per ospitare gli stessi esuli dalmati e istriani».

 

A seguire la lezione del prof. Marchetti: «Nelle leggi italiane istitutive del "Giorno della memoria" e del "Giorno del ricordo" è sparito ogni riferimento alle leggi razziali o al pessimo trattamento riservato agli esuli istriani e dalmati, ovvero la responsabilità italiana ai fenomeni commemorati», ha detto il docente. «All'estero quei fatti sono stati elaborati diversamente, come quando il cancelliere tedesco Willy Brandt andò ad inginocchiarsi nel ghetto di Varsavia. Gli esuli italiani furono 250 mila, forse di più. Tra quelli che vennero uccisi, pochissimi finirono nelle foibe, che sono state però assunte come simbolo dei fatti di quegli anni. Tra i fenomeni più dolorosi, che riguardarono anche miei familiari, si procedette allo spostamento su base etnica. Lo spaventoso principio era che non si poteva più convivere con chi è diverso da noi, e le pulizie sono arrivate da lì ai nostri giorni: nella ex Jugoslavia, e poi in altre vaste regioni del mondo».

 

«Il Novecento è stato il secolo dello "spostamento di persone", come ha detto Karl Schlögel, il quale ha pure elencato le varie espressioni per esprimere questo concetto nelle varie lingue europee, o della "pulizia etnica", come ha scritto recentemente lo storico americano Norman Naimark. È questo principio che dobbiamo rifiutare. Già prima della fine della seconda guerra mondiale, nel '42, gli alleati erano d'accordo sullo spostamento di popolazioni in Europa su base etnica, per punizione verso i vinti, ma sulla base della loro stessa logica. Churchill e Stalin concordarono questo punto, per formare stati che non fossero multinazionali, multiculturali, multilinguistici, come avveniva fino alla prima guerra mondiale. Da lì a provare fastidio per l'accento stesso del diverso, il passo è breve, come avvenne nel nord Italia verso i meridionali emigrati negli anni '50 e '60».

 

 
un momento dell'incontro

un momento dell'incontro