Locandina
UCI Cinema (Palariviera)
Miguel è un ragazzino con un grande sogno, quello di diventare un musicista. Peccato che nella sua famiglia la musica sia bandita da generazioni, da quando la trisavola Imelda fu abbandonata dal marito chitarrista e lasciata sola a crescere la piccola Coco, adesso anziana e inferma bisnonna di Miguel. Il giorno dei morti, però, stanco di sottostare a quel divieto, il dodicenne ruba una chitarra da una tomba e si ritrova a passare magicamente il ponte tra il mondo dei vivi e quello delle anime.
Diverso eppure di famiglia, è questo l'effetto che fa Coco alla prima visione. La Pixar si inoltra in un territorio finora inesplorato, immergendovisi in profondità, eppure ovunque, nel film, risuona un'aria di famiglia, con echi di Up e Inside Out, o forse un unico gene responsabile, che è dentro tutti i figli della lampadina salterina, ed è quello della rimembranza.
Mentre, durante la festa dei morti, il paese di Santa Cecilia (e il Messico tutto) allestisce altari nelle case e illumina i cimiteri per accogliere la visita dei famigliari defunti, Miguel si trova a compiere un percorso che trasforma quella tradizione lontana in qualcosa di reale, di personale e di urgente, una questione di vita e di morte (appunto), e impone l'importanza del ricordo tra le priorità della vita, anche di un giovanissimo come lui.
L'immersione dei creatori di Coco nell'universo messicano del Dìa de Los Muertos è un'immersione totale, che ingloba la storia ma anche l'aspetto visivo del film e ne rispetta e riproduce la varietà intrinseca. Come la folk art messicana legata a questa ricorrenza varia da comunità a comunità e presenta una gamma ampissima di figure e materiali differenti, così Coco mescola le tonalità al neon degli alebrijes (vero tocco magico del film) con la ritrattistica fotografica, il cinema indigeno, Frida Khalo e il suo debordante mito (altro tocco spassoso), l'estetica musicale e quella carnevalesca.
C'è tanta trama, c'è una vicinanza tematica stretta con "Il libro della vita" prodotto nel 2014 da Guillermo Del Toro, c'è l'eco di Tim Burton, e, a volte, può sorgere il dubbio che tanto scoppiettare di colori e corse contro il tempo possa servire a coprire la mancanza di quelle piccole perle di genialità nella semplicità, quelle palline blu tristezza e giallo gioia, quelle porte in infinita sequenza, che, in altri film Pixar, ci hanno stretto con una mano il cervello e con l'altra il cuore. Però Coco fa una cosa importante, che non ha solo a che vedere con un lavoro di reale (e non superficiale o funzionale) esplorazione di un'altra cultura, ma con un'incursione in un territorio misterioso, il post mortem, che è un luogo della vita di tutti, adulti e bambini.
In questo senso, la continuità con Inside Out è forte e evidente: dopo aver fatto i conti con la matassa ingarbugliata delle emozioni, il tempo si è rivelato maturo per guardare con "spirito" avventuroso e commovente dentro un altro fitto mistero, quello della mortalità; e la celebrazione messicana, fatta di musica, colori e leggende a carattere familiare, si è rivelata, per questo fine, un sentiero luminoso ed efficace.